Profughi di Caporetto al Sud

La sconfitta di Caporetto dell’ottobre del 1917 coinvolse oltre un milione di profughi civili. Donne, vecchie e bambini provenienti da Udine, Treviso e Venezia, dall’Altopiano di Asiago e dalla Valle del Brenta raggiunsero la Sicilia, la Calabria, la Puglia ed anche la Campania.

Furono circa quarantamila ad essere accolti tra Napoli e provincia, spesso in edifici pubblici, a volte con slancio generoso altre con difficoltà in una realtà umile, povera e diversa nella lingua e nei costumi, che li accusava di essere sussidiati.

In un suo libro Daniele Ceschin ha raccolto questo malessere nelle parole di una vicentina che si trovava a Montesarchio, presso Benevento, e che rivolgendosi ai parlamentari diceva: “Siamo postati come i animali e mal visti dal popolo mi dice che siamo austriachi ma paziensa dio provederà”.

Altrove, come a Napoli i profughi costituirono una Società di Mutuo Soccorso che fornì aiuto agli esuli anche nei mesi successivi alla fine del conflitto, quando i più tornarono nelle loro terre.

Fu questo il secondo incontro fra Nordest e Sud, dopo quello sui campi di battaglia.

Emergono tante storie. La profuga Anna Buliani descriveva Ottaiano, in provincia di Napoli, come il paese più misero di tutta la provincia, senza lavoro e con scarse condizioni igieniche. Si hanno diverse notizie di profughe che si dettero alla prostituzione tra Roma e Napoli, di chi chiedeva di essere trasferita da Cervino, in provincia di Caserta, in un qualsiasi altro posto del Nord, altri come quelli di San Prisco, ancora un paese della provincia di Caserta, lamentavano di essere senza panni, si vergognavano di mostrasi così in pubblico, e denunciavano di aver ricevuto in dieci mesi un solo paia di scarpe mal confezionate che erano andate pure distrutte.

Ne parla anche Luigi Verolino nel suo libro “I profughi di Caporetto a Napoli e in Provincia” presentandoci numerosi esempi di accoglienza ed aiuto.

In città si organizzò un “Comitato friulano” che si adoperò per sistemare i profughi in alberghi o presso abitazioni private, elargendo i primi soccorsi con indumenti e latte per i bambini.

Anche la ferrovia Circumvesuviana e l’Arsenale di Napoli assunsero numerosi profughi nè poche furono le famiglie napoletane che, commosse dalle misere
condizioni in cui versavano gli esuli, offrirono ospitalità. Si aprirono le porte degli asili nido e degli orfanotrofi, delle chiese e degli istituti pii.

L’Associazione Nazionale per gli interessi del Mezzogiorno d’Italia garantì all’asilo “Patria del Friuli” il sostegno necessario a garantire due pasti giornalieri a cinquanta bambini. La stessa struttura era gestita da maestre e personale anch’esso assunto tra profughi.

Lo slanciò d’altruismo fu generoso quanto caloros. Globalmente il territorio napoletano ospitò circa venticinquemila profughi di cui trecento a Torre del Greco, millesettecento a Boscotrecase, centonovantadue a Trecase, settecento a Somma Vesuviana, sessanta a Pollena Trocchia, centotrentasei a Marano, trecento a Pozzuoli, centocinquantasei a Vico Equense, centosessantotto a Piano di Sorrento, ottocento a Castellammare di Stabia, centocinquanta a Pomigliano d’Arco, centosettanta a San Giuseppe Vesuviano, settecento ad Ottaviano, centosette a Gragnano, trecentoquattro a Portici, centosei a San Giorgio a Cremano, centocinquantadue a San Giovanni a Teduccio, centonove a Torre Annunziata, centosei ad Acerra, duecentocinquantasei a Cicciano, quattrocentoventisette a Nola, centoquattordici a Palma Campania, duecentonovantasette a Saviano, cinquecentottantotto ad Aversa.

Molti tornarono nei loro paesi, altri restarono al Sud ed ancora oggi tracce della loro permanenza sopravvivono nei cognomi meridionali. Cognomi tradizionalmente veneti, quali Zanni, Zanin, Zennaro, Zorzi, non vanterebbero altro che la lenizione dialettale della G in Z, pertanto corrisponderebbero ai Di Giovanni, Di Gennaro, De Giorgi o Di Giorgio, privi di particella patronimica o ridotti in ipocoristico, come Zaia che diventa Vaia, Zanni diventa Gianni e Zanin che cambia in Giannini o Zilio che muta in Giglio.

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

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