Torino tra Francia e Spagna

Torino entra nel Seicento con un’importanza accresciuta. Non solo a corte sono arrivati illustri esponenti della cultura di quell’età, eccellenti pittori, come il Moncalvo, e illustri poeti, come Gabriello Chiabrera, Torquato Tasso, Gianbattista Marino, Fulvio Testi e Alessandro Tassoni, ma la città ha cambiato volto, si è abbellita, si è ampliata. Grandi architetti, come Ascanio Vittozzi e Carlo di Castellamonte, ne hanno ridisegnato il volto. I piani di costruzione edilizia di Emanuele Filiberto e Carlo Emanuele I l’hanno fatta uscire dai confini delle sue antiche mura romane e la popolazione è salita a quarantamila unità.

Il figlio di Testa di Ferro, conquistato il Marchesato di Salluzzo ma sconfitto nei tentativi di espugnazione del Monferrato e di Ginevra, fece erigere l’Eremo dei Camaldolesi, la Palazzina Mirafiori, gli ospedali dei SS. Maurizio e Lazzaro, della SS. Annunziata, le chiese del Corpus Domini e di San Carlo, il Convento del Monte dei Cappuccini e, nella zona tra il Po, la Dora e la Stura, fece impiantare il Regio Parco, un giardino di fontane, labirinti, boschetti e laghi. Carlo Emanuele portò a Torino feste in maschera, caroselli, regate del Po, corse di slitte e di cavalli, giostre, ma tanta vivacità fu turbata dalla peste del 1630.

La corte lasciò la città rifugiandosi a Cherasco e poi a Fossano, Torino restò affidata alle cure del suo sindaco, Giovanni Francesco Bellezia, del protomedico, Gian Francesco Fiocchetto, e dell’auditore municipale, Giovanni Antonio Beccaria. In due anni morirono circa 8.000 persone e più ne sarebbero state se le autorità non si fossero impegnate con solerzia nella pulizia delle strade dai cadaveri, nella sanificazione delle cose infette e nella sepoltura dei morti. Intanto, a Carlo Emanuele, spirato quello stesso 1630 a Savigliano, successe il secondogenito Vittorio Amedeo I.

Ormai la città era stanca, immiserita, morta nel commercio e nelle manifatture così come l’intero Ducato, disastrato nelle finanze e lacerato dalle truppe straniere. Vittorio Amedeo I pose fine ai legami con la Spagna, fioriti coi suoi predecessori, e si aprì alla Francia grazie al suo matrimonio con Maria Cristina di Borbone. Il fatto aprì polemiche e scontri nella famiglia ducale. Maurizio e Tommaso, fratelli del Duca, si mostrarono ostili ai francesi. Mentre a corte si diffondevano le costumanze parigine ed il duca ratificava l’alleanza di Rivoli, il 16 luglio del 1635, il Cardinale Maurizio aveva fondato a Torino l’Accademia dei Solinghi che oltre a questioni culturali non tardò a divenire un cenacolo antifrancese. Dovette presto abbandonare la corte col fratello Tommaso, quando il Piemonte prese parte alla guerra nei Paesi Bassi. Vittorio Amedeo attraversò il Ticino e vinse a Tornavento il 22 giugno del 1636, ancora battè gli spagnoli a Monbaldone, l’8 settembre del 1637. Maurizio e Tommaso poterono rientare a Torino quell’anno, dopo la morte di Vittorio Amedeo, sopraggiunta mentre avanzava da Vercelli nel cuore della Lombardia spagnola. Il loro ritorno aprì una violenta guerra civile.

I partigiani di Maria Cristina, fattasi eleggere reggente dello stato in nome del figlio Francesco Giacinto e protetta da Richelieu, si scontrarono con quelli filo-spagnoli di Maurizio e Tommaso Francesco di Savoia, Prinipe di Carignano. La lotta che si apre è anzitutto una lotta familiare perchè la duchessa reggente è in contrasto con i cognati, ma lo scontro replica quello geopolitico tra Francia e Spagna, tra Richelieu e Olivares. La popolazione sembra tutta ostile alla reggente, non vuole che il Piemonte sia inghiottito dalla Francia come era già successo al Ducato di Lorena. Presto Torino fu circondata dalle truppe spagnole, che avevano subito preso Chivasso, Carmagnola, Chieri ed Ivrea, mentre Maria Cristina, morto il primo figlio si proclamò reggente per l’altro, Carlo Emanuele II. L’astuta e avida Madama Reale tentò inoltre di trovare una via di uscita alla guerra proponendo di darsi in moglie a Maurizio, da Parigi si opposero perchè i torinesi avevano ragione: il vero obbiettivo dei francesi era quello di annettere il Piemonte.

Non bastò alla duchessa disarmare la popolazione ed esplerre gli ufficiali sospetti di fiancheggiare gli spagnoli. Non bastò alla duchessa neppure percorrere le vie della città in portantina per incitare il popolo a resistere. I sudditi erano contro i francesi che gà avevano chiesto la consegna delle piazze di Carmagnola e Santhià per poter respingere gli spagnoli. La guerra si risolse il 27 luglio del 1639, mentre i francesi erano fermi ad assediare Cuneo. Il principe Tommaso, da Asti marciò con rinforzi su Moncalieri, attraversò il Po e riuscì ad entrare a Torino col suo esercito di spagnoli, napoletani e tedeschi, infittito anche dai suoi partigiani torinesi. Maria Cristina si rinchiuse nella fortezza della Cittadella e non lesinò a sparare sulla città provocando centinaia di vittime in pochi giorni. Alla fine abbandonò definitivamente Torino accorrendo alla corte di suo fratello Luigi XIII, pronto a ritornare alla guerra.

L’11 maggio del 1640 i francesi attaccarono il fortino di Monte dei Cappuccini, trucidarono i suoi difensori e, da quella posizione, con le artiglierie avviarono un fitto bombardamento della città. Resisi conto che le armi non avrebbero avuto ragione dei torinesi, si disposero a prendere la città per fame, deviando l’acqua della Dora che muoveva le macine del più importante mulino cittadino. Si contarono centotrentacinque duri giorni d’assedio. A ciò si aggiunse la sconfitta militare di Tommaso e la definitiva capitolazione venne firmata il 20 settembre di quell’anno. In città entrarono le truppe del marchese d’Harcourt. Torino era di nuovo in mano di Maria Cristina.

Gli accordi cancellarono in un sol colpo principisti e madamisti. Stabilirono la riappacificazione tra le parti e Maurizio, lasciala la porpora, fu fatto luogotenente di Nizza e sposò Luisa Cristina, figlia di Maria Cristina, mentre Tommaso ebbe la luogotenenza delle contee di Ivrea e Biella. Carlo Emanuele II però divenuto maggiorenne non ebbe affatto il Ducato. Maria Cristina non avrebbe mai condiviso il suo potere se non col suo amante, Filippo di Savoia, principe di Agliè. Solo nel 1663, alla morte della madre, Carlo Emanuele II poté assumere la direzione degli affari di stato.

Intanto, dopo le distruzioni della guerra, Torino fera stata al centro di un nuovo vasto programma di costruzione edilizia. Intenzionato a farne una delle più belle città europee, il nuovo duca si affidò a Guarino Guarini, uno dei più grandi architetti del tempo, un genio del barocco. Questi realizzò la Cappella della Sacra Sindone, la Real Chiesa di San Lorenzo e Palazzo Carignano, ma l’intera città si riempì di edifici barocchi. Il Lanfranchi costruì il nuovo palazzo della città, il Baroncelli disegnò il palazzo Barolo, il Lanfranchi ancora costruì la basilica dei Santi Maurizio e Lazzaro e la Chiesa di San rocco.

Venuto a morte il duca, sua moglie Giovanna Battista di Nemours – donna di costumi liberali, ricordata per la costruzione del ghetto ebraico della città – assunse il ruolo di reggente di suo figlio minorenne che, come la suocera, non lasciò spaziò al figlio neppure una volta giunto alla maggiore età. Vittorio Amedeo II dovette ribellarsi alla madre e prendere le redini dello Stato. Fu astuto scegliendosi per moglie Anna d’Orleans, nipote di Luigi XIV, che gli assicurò la protezione della Francia anche contro l’ambiziosa madre. Ben presto però la presenza francese, che si manifestava col controllo di Casale e Pinerolo, divenne ingombrante. Il duca sapeva che, se voleva garantirsi la sopravvivenza politica del suo stato, doveva liberarsi dalla sempre più opprimente influenza della Francia. Per questo, quando si formò la Lega di Augusta, nel 1686, tra le principali potenze europee per contrastare la politica espansionistica di Luigi XIV, decise di aderirvi e si recò a Venezia in incognito per poter discutere con i suoi rappresentanti.

Vittorio Amedeo, in segreto, si alleò così alla Spagna ed all’Austria nella lega anti-francese e concesse a Luigi XIV solo uno dei tre reggimenti da lui richiesti. Quando poi infranse la proibizione impostagli dai francesi di non arruolare più di duemila uomini per volta, da Pinerolo, le armate del generale Nicolas Catinat iniziarono a devastare il territorio attorno a Torino. Il Piemonte entrava così nella Guerra della Grande Alleanza.

A sostegno del duca, l’imperatore Carlo VI gli inviò Eugenio di Savoia, suo cugino, che respinse i nemici che assediavano Cuneo e prese il comando di Torino, mentre Vittorio Amedeo tentò di allontanare i francesi. Incappò invece in una sconfitta, nei pressi dell’Abbazia di Staffarda, e fu necessario che la lega gli inviasse ulteriori soccorsi. Nel 1693 l’esercito sabaudo assalì Pinerolo, ne fu respinto e incappò in una nuova sconfitta tra Orbassano e Cumiana, la Battaglia della Marsaglia. Nonostante questo, Vittorio Amedeo poté continuare la guerra e, sfruttando la stanchezza dei francesi, impegnati su più fronti, dopo aver posto l’assedio a Casale Monferrato nel 1693, riuscì ad indurre Luigi XIV alla pace ottenendo per sé il trattamento regio, la città di Pinerolo e la restituzione di tutti i territori sabaudi conquistati dai francesi durante la guerra, ma impegnandosi alla neutralità ed a dare sua figlia Maria Adelaide al Duca di Borgogna, nipote del re Sole. Dopo sei anni di guerra il duca aveva raggiunto i suoi scopi in pieno e poteva ritenersi politicamente soddisfatto.

 

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Bibliografia: G. Colli, Storia di Torino; F. Cognasco, Storia di Torino

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