I Savoia al fronte nella Grande Guerra

Nel corso della Prima Guerra Mondiale la real casa di Savoia fu attivamente presente al fronte, testimoniando a tutti i livelli il suo essere dinastia nazionale, pienamente partecipe delle complesse vicende che l’Italia affrontava e conscia del proprio compito di essere guida della nazione. Restando fedeli alla plurisecolare tradizione di principi-guerrieri della loro dinastia, i principi sabaudi furono combattenti tra i combattenti, affrontando, da soldati, tutte le vicissitudini e le asperità della guerra. La partecipazione attiva, e non meramente d’immagine, al conflitto è testimoniata dai lutti e dalle ferite patite dai membri di Casa Savoia, oltre che dalla mole di decorazioni al valore meritate sui vari campi di battaglia.

In qualità di comandante supremo delle forze armate, il re Vittorio Emanuele III vestì l’uniforme grigioverde sin dal 24 maggio, allorché dal balcone del Quirinale annunciò l’inizio delle ostilità, il giorno successivo partì per la zona di operazioni nominando il principe Tommaso di Savoia-Genova Luogotenente Generale del Regno. Vittorio Emanuele pose il proprio comando nei dintorni di Udine, nell’elegante villa Linussa ribattezzata “villa Italia”, nella quale si fece approntare un alloggio da campo sul modello di quello assegnato agli ufficiali dell’esercito. Da questa base conduceva ogni giorno ispezioni sulla linea del fronte, visitando le trincee avanzate, intrattenendosi a discorrere con comandanti e soldati, assistendo alla distribuzione del rancio e visitando continuamente i feriti negli ospedali da campo. Fu questa costante vicinanza umana ai combattenti, dei quali condivideva l’uniforme e i luoghi, a conquistargli una enorme simpatia popolare e l’appellativo di “re soldato” con il quale è divenuto celebre. Scrupoloso della disciplina militare e dei ruoli, non interferì con le scelte del capo di Stato Maggiore dell’esercito, Generale Cadorna, fino a Caporetto, quando assunse in prima persona il ruolo di garante politico e militare della condotta di guerra dell’Italia innanzi agli alleati dell’Intesa. Fu nel drammatico convegno di Peschiera del novembre 1917 che egli espose ai rappresentanti francesi e inglesi la situazione militare italiana, ribadendo la propria fiducia nella capacità di resistenza dell’esercito, esercitò anche una influenza determinante sul governo per indirizzare la scelta sul Generale Armando Diaz quale nuovo capo di Stato Maggiore. Dalla fine del 1917 il re si spostò in Veneto, ponendo il proprio quartier generale nel padovano, dapprima a villa Baldin e in seguito a villa Lispida a Monselice, da qui intensificò i propri spostamenti lungo il fronte, divenendo celebre tra i soldati per le sue improvvise apparizioni a bordo della torpedo Fiat tipo 4 “Saetta del Re” e per l’onnipresente macchina fotografica. Terminato il conflitto, come un qualunque fante, il re recò sul petto la Croce al Merito di Guerra e le medaglie commemorative della guerra, con la sua stessa effige.

A partire dal 1918 il sovrano volle che anche il principe ereditario Umberto, all’epoca quattordicenne, che già era apparso fugacemente al fronte accanto al padre nei primi mesi delle ostilità, fosse presente in zona di guerra e lo accompagnasse nelle ispezioni alle linee. In realtà già dall’inizio della guerra il principe Umberto aveva vestito l’uniforme scoutistica del Corpo Nazionale dei Giovani Esploratori Italiani, presenziando a numerose cerimonie patriottiche e consegnando personalmente le decorazioni ai giovani volontari esploratori che si erano distinti nell’assistenza civile alle popolazioni. Le immagini del principe con la divisa di “Primo esploratore d’Italia” conobbero, del resto, una vastissima diffusione e furono un potente strumento di propaganda, che accentuò la percezione della vicinanza della dinastia alle vicende degli italiani e si inserì in un più vasto apparato di mobilitazione per la guerra totale.

Il ramo dei duchi d’Aosta fu quello che diede il maggior numero di combattenti e pagò il tributo di sangue più elevato. Il giovane Umberto conte di Salemi, figlio di Amedeo, capostipite dei Savoia-Aosta, e di Maria Letizia Bonaparte, aveva 26 anni allo scoppio del conflitto, quando decise di arruolarsi volontario quale soldato semplice di cavalleria, combattendo in prima linea per sua richiesta. Fu in seguito ufficiale di complemento del Reggimento Cavalleggeri di Treviso, ottenendo, nel maggio 1917, la promozione a Tenente in servizio permanente per merito di guerra, partecipò a numerosi scontri sul fronte del Carso e sul monte Grappa, meritando due medaglie d’argento al Valor Militare. Proprio sul Grappa contrasse l’influenza spagnola nell’autunno del 1918, la malattia lo portò alla morte nell’ottobre dello stesso anno nell’ospedale militare di Crespano Veneto. I suoi tre fratelli maggiori, nati delle prime nozze del padre con la principessa piemontese Maria Vittoria dal Pozzo della Cisterna, furono, al contempo, autentiche leggende viventi della Grande Guerra. Emanuele Filiberto duca d’Aosta, Generale d’Armata, comandante invitto della IIIª Armata per tutta la durata della guerra, dalla presa di Gorizia alla ritirata di Caporetto, fino alla battaglia di Vittorio Veneto. Fu decorato nel 1916 della Gran Croce dell’Ordine Militare di Savoia e, nel dopoguerra, della Medaglia d’Oro al Valor Militare, incarnò una delle figure più emblematiche e rappresentative dell’Esercito Italiano, punto di riferimento per migliaia di soldati ed eroe della resistenza sul Piave.

Questa la motivazione della Medaglia d’Oro: “Espressione guerriera della millenaria Stirpe Sabauda, guidò con sicura fede ed incoercibile tenacia la « Invitta Armata » in undici battaglie sull’Isonzo, in quelle gloriose sul Fiume Sacro e nel travolgente inseguimento che portò il Tricolore là ove il suo Re aveva fissato. Sublime esempio di costante valore tra i suoi valorosi soldati.” 24 maggio 1915 – 4 novembre 1918.

 

Vittorio Emanuele, conte di Torino, fu avviato sin da giovanissimo alla carriera militare e si mise in evidenza al comando di diversi reggimenti di Cavalleria, allo scoppio della guerra era Tenente Generale ed ispettore della Cavalleria, dal giugno del 1915 fu comandante generale dell’arma di Cavalleria, distinguendosi per tutta la durata del conflitto per l’organizzazione dei reparti, anche con rischiose ispezioni in prima linea, dopo che i reggimenti di cavalleria erano stati smontati e schierati nelle trincee. Per tale attività fu decorato della Medaglia d’Argento al Valor Militare. Luigi Amedeo duca degli Abruzzi si era già distinto agli inizi del ’900 come esploratore, Vice Ammiraglio della Regia Marina, dall’inizio della guerra ebbe il comando dell’Armata Navale italiana e delle flotte riunite interalleate nell’Adriatico. Fu fautore di un atteggiamento offensivo nei confronti della marina austriaca che gli costò parecchi dissidi con gli alleati, interessati a stabilizzare il fronte marittimo nel Mediterraneo. Si rese artefice della grande operazione di salvataggio delle forze serbe nell’inverno del 1915, compiuta con le forze della marina italiana, e della vittoria nella battaglia di Durazzo, per il consolidamento del fonte albanese, azioni per le quali fu decorato nel 1916 della croce di Grande Ufficiale dell’Ordine Militare di Savoia. Mantenne gli incarichi operativi fino al febbraio 1917, anno in cui fu promosso Ammiraglio ma dovette cedere il comando per la insanabile diversità di vedute con gli alti comandi navali inglese e francese. Anche i figli del duca d’Aosta, Amedeo ed Aimone, furono entrambi combattenti decorati del primo conflitto mondiale: il maggiore, Amedeo duca delle Puglie, che in seguito diverrà famoso per essere stato l’ultimo Viceré d’Etiopia e protagonista dell’eroica difesa dell’Amba Alagi, si arruolò volontario ad appena sedici anni combattendo come soldato semplice nel Reggimento Artiglieria a cavallo “Voloire”, dopo un anno di trincea si guadagnò sul campo la promozione a Tenente e, successivamente, a Capitano per meriti di guerra, fu decorato con una Medaglia d’Argento al Valore per la prolungata resistenza della sua batteria sul monte Debeli nel giugno 1917; Aimone duca di Spoleto, figlio minore di Emanuele Filiberto ed Elena d’Orléans, partecipò al conflitto dal 1916, subito dopo aver conseguito i gradi di Guardiamarina all’Accademia Navale, servendo a bordo di diverse navi da guerra prima di ottenere l’idoneità al pilotaggio degli idrovolanti. Dal giugno del 1918 tenne il comando della 251ª Squadriglia, meritando una Medaglia d’Argento e ben due di Bronzo al Valore, oltre ad una Croce di Guerra al Valor Militare per la riuscita azione di bombardamento della base idrovolanti austriaca di Pola.

 

Anche i duchi di Genova, benché meno numerosi, si distinsero sui diversi campi di battaglia, con i tre figli maggiori del duca Tommaso, che per tutta la durata del conflitto fu Luogotenente Generale del Regno, che si ritrovarono al fronte. All’inizio della guerra Ferdinando di Savoia-Genova, principe di Udine, aveva già alle spalle dieci anni di carriera nella Regia Marina, con il grado di Tenente di Vascello ebbe il comando di un Cacciatorpediniere per quattordici mesi, al termine dei quali fu promosso Capitano di Corvetta e decorato con una Medaglia d’Argento al Valor Militare. Nel 1917 partecipò alla missione politico-militare italiana negli Stati Uniti, il 3 novembre 1918 fu al comando di una piccola squadra navale che occupò l’arcipelago di Curzola in Adriatico, meritando l’Ordine Militare di Savoia. Il fratello Filiberto, duca di Pistoia, era ufficiale di Cavalleria, combatté sul fronte dell’Isonzo per poi ottenere il comando di una Compagnia mitraglieri quando i reparti furono smontati, alla testa della quale sostenne un duro combattimento d’alta montagna che gli fruttò la Medaglia di Bronzo. Il 4 novembre del 1918, con il grado di Capitano, fu tra gli uomini del Nizza Cavalleria che entrarono per primi a Trento. Il duca di Bergamo Adalberto era il terzo figlio maschio della Casa di Genova, nel 1915, a soli diciassette anni, prese parte al conflitto, conseguendo la nomina a Sottotenente nel 1916 e, nell’ottobre di quell’anno, meritò una Medaglia di Bronzo al Valor Militare per la partecipazione ai combattimenti a Musile di Piave, combatté, poi, sul Montello ed in Vallagarina nei ranghi del Reggimento Lancieri di Novara.

 

Anche le donne della real casa furono molto attive al fronte per tutta la durata del conflitto, non soltanto allestendo ospedali nelle retrovie, ma essendo presenti in prima linea per portare assistenza e conforto ai combattenti. Fu la stessa regina Elena ad impegnarsi in prima persona per la creazione dell’Ospedale Territoriale n. 1 della Croce Rossa all’interno dei saloni del Quirinale, del quale assunse personalmente la direzione quale Dama della Croce Rossa Italiana, svolgendo anche il ruolo di assistente infermiera in sala operatoria; analogo impegno fu anche quello della regina madre Margherita, che nella sua residenza romana, nel quartiere Ludovisi, fece allestire l’Ospedale Territoriale n. 2 della Croce Rossa, ove visitava quotidianamente i feriti, che, nei tre anni di guerra vi furono accolti in numero di 16.000. Nel corso della guerra un ruolo di grande rilevanza fu assunto dalla duchessa d’Aosta Elena d’Orléans, che fu Ispettrice Generale della Croce Rossa sin dall’aprile del 1915, già reduce dalla partecipazione come infermiera alla guerra italo-turca. Personalità dinamica e volitiva, la duchessa si occupò dell’organizzazione e dell’ampliamento del corpo delle infermiere volontarie, che giunse ad incorporare oltre 10.000 donne, recandosi personalmente in ispezione negli ospedali e nei presidi sanitari lungo il fronte e svolgendo direttamente l’assistenza ai feriti, anche nel corso dei cannoneggiamenti. Svolse un’opera costante di controllo sulla formazione delle proprie infermiere e si occupò del benessere materiale e morale di queste ultime, oltre che dei militari ricoverati. Per questo suo impegno fu decorata nel dicembre 1916 della Medaglia d’Argento al Valor Militare ed, inoltre, con tre croci al Merito di Guerra.

Nella grande impresa della guerra la casata reale si è compenetrata interamente nello sforzo compiuto dal popolo italiano per affrontare vittoriosamente il periodo bellico, dal ruolo del sovrano e dei principi che rivestivano gli alti gradi delle forze armate, fino ai principi più giovani dei rami cadetti, essa fu presente sui campi di battaglia al fianco del popolo in armi. Casa Savoia interpretò il proprio ruolo di guida del paese ponendosi non soltanto alla testa dei combattenti, ma anche quale punto di riferimento delle opere civili di propaganda e di assistenza, nel clima di una guerra totale che coinvolse la realtà italiana in tutti i suoi aspetti. Attraverso l’esperienza della guerra la dinastia regnante identificò sé stessa con la nazione, partecipando, ancora una volta e nella sua completezza, al compimento stesso della sua storia.          

 

 

 

 

 

 

Autore articolo: Salvatore De Chiara

 

Bibliografia: AA.VV. Enciclopedia Italiana Treccani, Ed. 1936; Pier Vittorio Buffa, Nicola Maranesi, La Grande Guerra 1914-1918, L’Espresso 2016; Maurizio Lodi, Avanti Savoia!, www.archiviostoricodalmolin.com; Gianni Oliva, I Savoia. Novecento anni di una dinastia, Mondadori 1998; Domenico Quirico, Generali. Controstoria dei vertici militari che fecero e disfecero l’Italia, Mondadori 2006; Ufficio Storico Regia Marina, Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi, Roma1935

 

 

 

 

Salvatore de Chiara, giornalista, cultore di storia militare e collezionista di cimeli bellici. E’ curatore del Civico Museo di Storia Militare di Aversa e membro del comitato scientifico del MOA (Museum of Operation Avalanche) di Eboli.

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