La fine della Serenissima

Per i Savii unirsi in un trattato di amicizia alla Repubblica Francese avrebbe voluto dire aprirsi alle idee rivoluzionarie e, soprattutto, esporsi al pericolo di una invasione austriaca. Un po’ alla volta però tra loro si fece largo l’idea che anche mantenersi neutrali, come era stato sino ad allora, era rischioso, perchè la Serenissima poteva finire egualmente occupata. L’esercito rivoluzionario, infatti, avrebbe potuto penetrare nelle frontiere d’Italia e prendersi Venezia se gli austriaci, dinanzi a tale eventualità, non si fossero mossi per primi.

Tutto l’inverno del 1793-1794 vide il Governo di Venezia dibattersi in queste incertezze e scegliere di armarsi, mettere in allerta le piazzeforti, aumentare la sorveglianza politica e la censura per impedire la circolazione di idee rivoluzionarie. Nel giugno si decise pure di richiamare le truppe di fanteria e di cavalleria dalla Dalmazia, nonché di ordinare leve di fanti schiavoni in Istria e di cernide nelle province. Piovve sul bagnato quando il Conte di Lilla, che non era altro che il fratello di Luigi XVI, chiese di soggiornare a Verona. Venezia accettò in nome dell’antica amicizia con la corte di Francia, ma subì le minacciose lagnanze del Comitato di Salute Pubblica.

Il diplomatico veneziano, Almorò Pisani, da Londra, attivò i suoi emissari ed arrivò a sapere che Robespierre già pianificava una invasione ed aveva incaricato un avvocato milanese, un certo Gorani, di organizzare la rivoluzione nella Penisola, prevedendo di incoraggiare disordini anche nella Repubblica Veneta, accusata di ospitare nemici della rivoluzione. Venezia fu spaventata da queste notizie. Festeggiò la caduta di Robespierre, il 9 termidoro, ma seppe quasi subito che nulla cambiava nei piani francesi. Il Belgio cadde, la Toscana si schierò con la Francia, c’era bisogno di capire con certezza quali fossero i progetti francesi sull’Italia e Venezia, così la Repubblica nominò un nuovo ambasciatore, un nobile, Alvise Querini, ex Ministro delle Finanze, e lo spedì a Parigi.

I suoi primi dispacci vennero accolti con una certa tranquillità a Venezia, parlavano di una terribile crisi politica del Direttorio, ma anche di carestia, così la Francia appariva impreparata ad una guerra in Italia. I dispacci di gennaio e febbraio del 1796, invece, consegnarono ai Savii notizie su una possibile spedizione militare diretta a infeudare Genova ed a strappare la valle del Po all’Austria. La Serenessima però restava certa che nè i francesi nè gli austriaci avrebbero mai attentato alla sua neutralità. Querini avvisò che la situazione non era così rosea, annotà la partenza di Bonaparte per l’Italia, i suoi sfolgoranti successi, le amizioni di conquista che si respiravano a Parigi, ma i Savii restarono fermi nelle loro convinzioni anche quando, a fine maggio, la Lombardia era stata conquistata e la guerra tra Francia ed Austria iniziò a combattersi ai confini della Serenissima. Querini fnon ottenne rassicurazioni sulle intenzioni verso Venezia e nel mentre scoppiò l’incidente del conte d’Antraigues.

Coperto dalla cittadinanza russa, completata dalla qualifica di segretario alla Legazione di Russia, d’Antraigues godeva di immunità diplomatica. Pertanto, sebbene la sua attività realista fosse pubblica, non poteva essere espulso. Il Senato veneto fu inammovibile su questo punto e la Francia non glielo perdonerà mai.

Dopo l’occupazione di Milano da parte dei francesi, gli austriaci passarono l’Oglio e violarono la neutralità di Venezia. Bonaparte rispose occupando Brescia, spostò poi parte delle sue truppe su Desenzano, per far credere al nemico di voler aggirarlo, e invece marciò rapidamente su Borghetto e passò il Mincio. Il 30 maggio gli austriaci finirono sconfitti e la fortezza di Peschiera finì nelle mani di Bonaparte. Il generale avvisò con un manifesto che le popolazioni non dovevano temere nulla dalle sue truppe perchè “una lunga amicizia unisce le due Repubbliche; la religione, il governo, le tradizioni, le proprietà saranno rispettate”, ma nell’incontro col Provveditore di Terraferma, Nicolò Foscarini, si mostrò completamente diverso. Accusò la Serenissima di non aver opposto resistenza agli austriaci, di aver protetto realisti come il Conte di Lilla ed il conte d’Antraigues, e annunciò che presto avrebbe attaccato Venezia.

Il Senato ne fu sconvolto, la politica di neutralità era miseramente fallita, Querini aveva avuto ragione nel mettere tutti in guardia coi suoi dispacci. Uno spiraglio parve aprirsi quando il Direttorio mobilitò l’ambasciatore Lallement per chiedere un’alleanza, ma Querini non si illuse, fin da gennaio aveva precisato che la Francia non voleva alleanza e tramava d’assorbire, attraverso una serie di rivoluzioni promosse da suoi emissari, il territorio della Repubblica Veneta in quello della Repubblica Cispadana. In effetti i famosi agenti giacobini riuscirono a far sollevare Bergamo, la città rovesciò le insegne del Leone di San Marco, si diede una costituzione e chiese di unificarsi alla Lombardia, seguita da Brescia e poi da Crema. Le vittorie di Bonaparte in Italia poi furono fulminee e la resa di Mantova consolidò l’occupazione francese dei territori della Serenissima. A Parigi il diplomatico Querini le provò tutte, pensò pure di salvare la Serenissima corrompendo col denaro qualche membro del Direttorio ma tutto era ormai segnato.

Venerdì 12 maggio 1797, i patrizi veneziani si radunarono per l’ultima volta. Per deliberare occorrevano almeno seicento membri, ma se ne presentarono solo 537. Benchè l’adunanza non fosse in numero legale, l’urgenza della deliberazione fece derogare tutto. Il doge Paolo Renier esortò i patrizi a dichiarare abolito l’antico governo nella speranza di risparmiare ulteriori sofferenze alla popolazione. Dopo una breve discussione, il segretario Valentin Marini diede lettura di quello che fu il vero e proprio atto di decesso della Repubblica di Venezia.

“Il sommo oggetto di preservare incolumi la Religione, le Vite, e le Proprietà di tutti questi amatissimi Abitanti determinò questo Maggior Consiglio alle due Parti 1, e 4 corrente, colle quali concesse alli suoi Deputati presso il General in Capite dell’Armata Francese in Italia Buonaparte, le facoltà tutte opportune a conseguirlo. Ora però raccoglie con amaro senso il complesso delle rappresentazioni contenute nella Relazione dei due Conferenti, che la Serenissima Signoria fu in necessità di destinare per rallentar il rapido corso degli avvenimenti, che sull’ istante erano per prorompere con estremo pericolo dell’oggetto predetto. Alla preservazione di questo, e nel conforto di sperar garantiti tanti essenziali riguardi, e con essi quelli troppo giusti verso il Ceto Patrizio, e di altri individui partecipi delle Pubbliche concessioni, non che assicurata la solidità della Zecca, e del Banco, questo Maggior Consiglio fermo , e coerente all’ oggetto delle Parti predette, anche in prevenzione dei riscontri dei suoi Deputati addotta il Sistema del proposto provisorio Rappresentativo Governo, sempre che con questo s’incontrino i desideri del Generale medesimo: ed importando, che in nessun momento resti senza tutela la Patria comune si presteranno frattanto a quest’ oggetto le respettive competenti autorità”.

Mentre Giovanni Minotto illustrava il decreto, improvvise scariche di archibugi risuonarono nella piazza. Tutti accorsero alle finestre, erano solo salve di moschetto fatte a San Zaccaria dagli schiavoni che, evacuando secondo gli ordini, salutavano Venezia. I patrizi tornarono ai loro posti. Si passò senza ulteriori indugi alla votazione. In fretta le palle furono inserite nell’urna e la Parte fu approvata con 512 voti favorevoli, 20 contrari e 5 astenuti. La Repubblica di Venezia era morta e fu proclamato il Governo Provvisorio della Municipalità di Venezia; nella notte dal 15 al 16 maggio, la città fu occupata dalle truppe di Baraguey d’Hilliers che zittì il malcontento dei cittadini per la fine dell’indipendenza di Venezia.

 

 

 

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Fonte foto: dalla rete

Bibliografia: M. Mazzucchelli, La rivoluzione francese vista dagli ambasciatori veneti

historiaregni

Historia Regni è un portale telematico dedicato alla storia, anzitutto quella italiana. Nasce su iniziativa di Angelo D’Ambra, è senza scopo di lucro e si avvale di collaborazioni gratuite. Le foto presenti sono state, in parte, prese da internet e quindi valutate di pubblico dominio. Se gli autori avessero qualcosa in contrario alla pubblicazione, non avranno che da segnalarlo al nostro indirizzo email info@historiaregni.it e si provvederà alla rimozione.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *