A Napoli sulle tracce del Gran Capitano

Gonzalo Fernandez de Cordoba è l’emblema dell’uomo d’arme del mondo dei Re Cattolici, è colui che, distintosi nella conquista di Granada musulmana, consegnò anche il Regno di Napoli a Ferdinando ed Isabella, con le battaglie di Ruvo, Cerignola e del Garigliano, e ne divenne il primo vicerè.

In Spagna, con l’approssimarsi del cinquecentenario della morte di Gonzalo Fernandez de Cordoba, studiosi ed appassionati di storia si sono uniti nel celebrare il Gran Capitan con nuove pubblicazioni ed eventi di approfondimento che hanno indagato la sfera dei rapporti con i sovrani di Castiglia ed Aragona nonché quella della personalità del condottiero e del suo ingegno militare.

A Granada, Cordoba, Madrid autorità ed istituti culturali hanno commemorato il Gran Capitan; a Toledo, il Museo dell’Esercito gli ha dedicato l’allestimento di una preziosa esposizione di armi e cimeli che sta riscuotendo visite da record. L’eco di queste rinnovate attenzioni, non è giunto in Italia dove il Gran Capitan è caduto nel dimenticatoio come tutto ciò che non risulta funzionale alla storiografia liberale ed al suo concetto di italianità.

Basterebberobrevi cenni per spiegare il nostro interesse verso la sua figura. Gonzalo Fernandez de Cordoba ha il grande merito di aver portato a termine il “ciclo aragonese”, con la sua azione ha dato compimento all’integrazione del Regno di Napoli nella Corona d’Aragona nel momento storico in cui questa definiva il suo rapporto di unificazione con quella di Castiglia. Sta tutta qui la concretezza storica del legame spirituale tra Napoli e la Spagna. Ci inorgoglisce dunque l’esser riusciti ad includere in questo speciale sia scrittori spagnoli che dell’Italia del Sud e speriamo di contribuire a risvegliare l’interesse per Gonzalo Fernandez de Cordoba e per la sua epoca.

Sicuramente un ulteriore modo per contribuire a far sì che ciò avvenga è quello di suggerire un itinerario tutto napoletano, fatto dei luoghi in cui ancora oggi risuona l’eco delle gesta del Gran Capitano. Partiamo dunque da un tesoro assai poco noto e valorizzato, la cappella gentilizia della famiglia Cordoba. Ceduta dai frati minori al Gran Capitano negli anni del suo Viceregno, essa prende il nome di Cappellone di San Giacomo della Marca. In precedenza cappella autonoma, fu collegata alla Chiesa di Santa Maria La Nova con l’abbattimento d’una parete e ne divenne una cappella laterale. Oggi la possiamo osservare col volto conferitole dai lavori di ristrutturazione di Cosimo Fanzago. Purtroppo, con la trascuratezza dei tempi moderni, è priva di indicazioni e poco illuminata, con buona parte delle sue ricchezze perennemente nascoste da una esposizione presepiale. La Cappella, tra le altre cose, presenta ai piedi dell’altare, le urne sepolcrali di Francesco de Cordoba del 1690 e di Carlo Austriade del 1609, figlio del re di Tunisi, mentre alla base dell’arco trionfale vi sono due sepolcri, entrambi realizzati da Annibale Caccavello tra il 1550 ed il 1555, per volere di Ferdinando di Cordoba, duca di Sessa, nipote del Gran Capitano: uno conserva le spoglie di Odet de Foix, che guidò il tentativo di riconquista francese di Napoli nel 1527-28, e l’altro quelle di Pietro Navarro.

Pietro Navarro è il condottiero spagnolo, esperto di polveri esplosive, a cui si deve l’espugnazione delle fortezze del Regno in mano dei francesi nelle campagne del Gran Capitano. Il 12 giugno 1503 una mina da lui ideata fu posta sotto le mura del Maschio Angioino ed aprì la breccia che permise agli spagnoli di prendere la guarnigione francese e mettere fine alle velleità nemiche.

La sua carriera fu macchiata dal tradimento perchè nel 1515 passò nelle fila di Francesco I e, catturato, fu imprigionato e poi ucciso nel Maschio Angioino, dove la sua salma fu collocata prima della traslazione. Sul suo sepolcro vi leggiamo un’iscrizione di Paolo Giovio: “Ossibus et memoriae Petri Navarri cantabri solerti in expugnandis urbibus arte clarissimi Consalvus Ferdinandus Ludovici filius magni Consalvi nepos suessae princeps ducem gallorum portes secutum pio sepulcri minere honestavit quum hoc in se habebat praeclara virtus ut vel in hoste sit admirabilis, obiit ann. 1528 aug. 28” che possiamo così tradurre “Alle ossa e alla memoria di Pietro Navarro di Cantabria, famosissimo nell’abile arte di espugnare le città. Consalvo Ferdinando, figlio di Ludovico e nipote del grande Consalvo, duca di Sessa, onorò il condottiero con una degna sepoltura. Uomo di straordinario valore, morì il 28 agosto 1528”.

La storia di Pietro Navarro ci guida agli inizi del rapporto tra Consalvo de Cordoba e Napoli. Un mese prima di quella esplosione al Maschio Angioino , le rappresentanze cittadine di Napoli, vale a dire i 29 membri dei seggi del Nido, Capuana, Montagna, Porto, Portanova ed il rappresentante del seggio del Popolo incontrarono il Gran Capitano nelle campagne di Acerra e qui egli approvò i 69 capitoli di grazie e privilegi propostigli. Il giorno dopo entrò in Napoli dove la conquista delle roccaforti andava ancora completandosi. La sua attività politica, vinti i francesi anche in Terra di Lavoro, si sviluppò costruendo e rafforzando relazioni con la nobiltà e le rappresentanze della capitale.

Gli episodi iniziali di questa vicenda sono riprodotti nel ciclo pittorico della piccola Sala IX del Palazzo Reale di Napoli composto da cinque opere pittoriche interamente dedicate al Gran Capitano che dà quindi il nome alla sala. Questo ambiente appare oggi con un aspetto settecentesco per il mobilio e l’arazzo proveniente dalla camera da letto di Ferdinando IV di Borbone, ma basta levare in alto lo sguardo per scorgere il soffitto seicentesco che ancora conserva l’originaria decorazione. Si tratta di dipinti realizzati nella prima metà del Seicento da Battistello Caracciolo che raffigurano la conquista del Regno di Napoli ad opera del Gran Capitano.

L’autore, di scuola caravaggesca, lavorò nel palazzo reale tra il 1611 ed il 1613, su committenza del vicerè Fernando Ruiz de Castro, conte di Lemos, che volle il palazzo per ospitare degnamente Filippo III, che pure mai visitò Napoli (Filippo V fu l’unico re ad essere ospitato nel Palazzo, ma nel 1702). L’opera prende il nome di “Le imprese del primo vicerè di Napoli Consalvo Fernandez di Cordova, Gran Capitano, nella guerra contro i francesi” ed è composta da “La vittoria sul signore di La Palisse in Calabria”, “Gli ambasciatori che offrono al Gran Capitano le chiavi della città”, “Esce da Barletta e assalta i francesi”, “L’entrata trionfale di Consalvo a Napoli” e da “Il Gran Capitano si impossessa di tutta la Calabria”. I dipinti sono inseriti in scomparti rettangolari con cornici di stucco e didascalie in castigliano. Le immagini pare si ispirino a “Le Historie delle guerre fatte in Italia da Consalvo Ferrando” di Giovanni B. Cantalicio, scritto nel 1506 e varie volte ripubblicato.

I dipinti, purtroppo ombrosi, affiancano momenti della conquista militare ad altri di natura simbolico-politica che arricchiscono l’impresa del Gran Capitano di grande significato storico. E’ stato notato come particolare rilievo sia dato alla Calabria, presente in tre delle cinque opere. I calabresi avevano da subito accettato Fernando il Cattolico come legittimo erede al Trono di Napoli e Gonzalo Fernandez de Cordoba aveva potuto utilizzare la provincia come base delle sue campagne. Per questo alla Calabria in questo ciclo pittorico è dato grande rilievo. Notevoli pure le restanti opere dedicate a Napoli. La scena in cui il Gran Capitano riceve gli ambasciatori napoletani e le chiavi della città si affianca a quella in cui il condottiero entra trionfante a Napoli da Porta Capuana. Nel quadrante dedicato all’ingresso a Napoli di Consalvo, in particolare, sono ben evidenti le insigne della casa d’Aragona, a porre l’accento sul fatto che la conquista dei Re Cattolici fosse in continuità col ciclo aragonese.

Il 24 aprile del 1504 Gonzalo Fernandez de Cordoba convocò feudatari, prelati e rappresentanti delle città demaniali per il primo parlamento. L’assemblea, riunita nella Chiesa di San Domenico, con in testa Iacopo Carbone, sindaco di Napoli, giurò fedeltà a Ferdinando ed Isabella e concesse loro un donativo di 300.000 ducati. Gonzalo si mosse dunque lungo le direttive che i sovrani gli suggerivano, puntò a ricavare i mezzi finanziari con cui fronteggiare le spese sostenute per la conquista militare del Regno senza aggravare ulteriormente la situazione della Corona e ciò avvenne assieme ad un’azione riformatrice in campo politico e amministrativo tesa ad evidenziare la magnanimità dei sovrani rispetto ai francesi con l’accettazione di tutte richieste cittadine, provvedimenti punitivi per chi avesse patteggiato per i francesi e ricompense per chi si era invece distinto nel corso delle operazioni vittoriose. Si andò subito delineando uno stato in cui l’iniziativa e la prerogativa della direzione politica spettava alla Corona e, seppure il parlamento otteneva maggiori funzionalità, in esso il ruolo dei rappresentanti cittadini restava ridotto rispetto a quello dei baroni.
Meno di un anno e cinque esponenti dei seggi nobili ed uno di quello del Popolo si recarono alla corte del Cattolico presentando 84 capitoli ed invitando il sovrano a Napoli, lamentando l’assenza della corte reale dalla città, con la malcelata speranza che il re potesse fermarvisi stabilmente.
Quando venne Ferdinando gli si prestò giuramento di fedeltà e gli si consegno un secondo donativo, mentre altre 47 richieste furono accolte. Gran parte della storiografia italiana assegna al parlamento esclusivamente un ruolo di contrattazione dei donativi ed al vicerè quello di esattore. Una visione più completa ci permette invece di riconoscere nel parlamento e nel ruolo di vicerè tutta la gravosità di una difficile ed impegnativa gestione dei dissidi tra baroni, rappresentanze e corporazioni cittadine di natura contrattualistica. Con Gonzalo Fernandez de Cordoba veniva sancito il passaggio dall’autonomia politica all’integrazione nelle Spagne e solo con essa il Regno di Napoli potè iniziare a liberarsi dall’anarchia giuridica e politica a cui l’aveva condannato in precedenza un ceto baronale riottoso ed un trono debole e spesso in guerra.

Diremo anche che il Gran Capitano fu protettore delle scienze e della cultura perchè col suo impegno nel 1507 ripresero i corsi all’Università supportati dall’aiuto del re Ferdinando che destinò al progetto 2.000 ducati, “duos mille ducatos solvendos doctoribus et aliis necessitati bus”. Ben presto però i rapporti con Consalvo peggiorarono. Dopo il matrimonio con Germana di Foix, nipote del re di Francia, Ferdinando accusò il Gran Capitano di amministrare il Regno per accrescere il proprio peso politico, ma erano cambiati gli orientamenti politici sovrani e, di fatti, Fernando pretese che i feudi dei baroni filo-francesi assegnati da Consalvo ai baroni che avevano sostenuto l’impresa spagnola, tornassero ai loro originari proprietari.

Chiudiamo così il nostro itinerario. Avremo potuto soffermarci sui luoghi della visita di re Fernando, ma preferiamo che tutta l’attenzione, almeno per questa volta, sia concentrata sul nostro Gran Capitano.

 

Autore articolo e foto: Angelo D’Ambra

 

 

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2 pensieri riguardo “A Napoli sulle tracce del Gran Capitano

  • 19 Gennaio 2016 in 17:21
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    Bellissima questa storia.Il Gran Capitano è stato un grande uomo, fedele alla sua regina, Isabella, e fedele alla Spagna.

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  • 8 Dicembre 2016 in 15:25
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    Qualcuno e’ in grado di fornirmi immagini vere di Consalvo da Cordova? Grazie.

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