L’attentato a Togliatti e gli scioperi al Sud

Il 14 luglio 1948 uno studente anticomunista, Antonio Pallante, sparò quattro colpi di rivoltella a Palmiro Togliatti mentre stava uscendo dal Parlamento. Leonilde Jotti gridò “assassino” due volte, poi cadde, quasi in ginocchio, su Togliatti proteggendolo mentre lo studente sparava altri due colpi di rivoltella spezzando una costola al segretario del PCI. A mezzogiorno la notizia si era diffusa ovunque. Nacque uno sciopero generale imponente e spontaneo e, in un impeto ribellista, disordini scoppiarono in diverse città della Penisola, soprattutto al Nord, ma anche al Sud. Quel 14 luglio, nonostante il grosso del gruppo dirigente comunista tentò di tenere le proteste in un alveo legalitario, tumulti violenti segnarono le manifestazioni.

Tutto si svolse in perfetto ordine a Salerno come a Benevento, a Potenza, in tutta la Sicilia; vetri della tipografia della Gazzetta del Mezzogiorno e del Caffe Savoia furono rotti a Bari, a Taranto i reparti di polizia furono aggrediti da numerosi manifestanti con sassi, bottiglie e colpi d’arma da fuoco ferendo la guardia Giovanni Doria ed il vicebrigadiere Giovanni Pacca, mentre cinque dimostranti subivano pesanti contusioni. A Napoli, appena s’era diffusa la notizia dell’attentato, il lavoro era stato interrotto nei principali stabilimenti cittadini e di provincia per poi estendersi agli autoferrotranvieri, alla Circumvesuviana, alla Cumana, al settore dell’erogazione di energia elettrica. Incidenti ci furono nel pomeriggio con risvolti drammatici.  Negli scontri persero la vita due giovani manifestanti, Angelo Fischietti, operaio, e Giovanni Quindo, studente, entrambi ventiseienni ed iscritti al Partito Comunista, e numerosi altri riportarono ferite per colpi d’arma da fuoco. Dopo il tramonto, la città restò in gran parte al buio e solo alle 22.00 venne ripristinata l’illuminazione pubblica. A Torre Annunziata un gruppo di manifestanti scagliò pietre, sparò e lanciò bombe a mano contro le sedi della Democrazia Cristiana e dell’Uomo Qualunque per poi tentare l’assalto alla caserma dei carabinieri; a Castellammare di Stabia dimostranti tentarono d’invadere la sede della DC poi presero d’assalto la caserma.

Il giorno dopo, indetto ovunque lo sciopero generale, sembrò a tutti delinearsi una linea divisoria tra zone industrializzate e zone agricole. In Molise, nel Beneventano ed a Salerno la partecipazione fu limitata. Pure in un’Irpinia sotto choc perché l’attentatore era nato lì, a Bagnoli Irpino, il 3 agosto del 1923 da Carmine Pallante e Maddalena Meloro. La famiglia s’era spostata a Corigliano Calabro e poi a Randazzo dove il padre aveva continuato a prestare servizio come appuntato forestale. A Scafati duemila operai invasero e distrussero le sedi di DC, PLI e Uomo qualunque, a Nocera Inferiore i treni furono bloccati, ad Eboli i carabinieri spararono sugli scioperanti.

Nessuno scontro ci fu a Santa Maria Capua Vetere e Maddaloni, cariche e lacrimogeni invece si segnalarono a Capua, San Nicola La Strada e Marcianise. Partecipazioni di massa ci forno solo ai comizi di Napoli, dove l’onorevole Giorgio Amendola pronunciò forse l’attacco più duro contro il governo De Gasperi, e Giugliano. A Castellammare di Stabia i manifestanti devastarono le sedi del PSLI, del PLI e del circolo nautico; al comizio di Pozzuoli esplose una bomba carta; a Frattamaggiore ed a Sant’Antimo si accesero scontri tra scioperanti e lavoratori che invece non si astenevano dall’attività. In Basilicata la partecipazione agli scioperi fu quasi nulla nel settore agricolo mentre pressoché totale nel settore industriale. Interventi decisi dei carabinieri si ebbero a Lavello ed a Senise. In Calabria la partecipazione agli scioperi fu totale solo a Crotone e Vibo Valentia ed a Reggio Calabria balzò alle pagine dei giornali un attentato compiuto contro un ponticello della linea ferroviaria tra Sibari e Corigliano. In Sicilia, Palermo era impegnata nei festeggiamenti della patrona, ci fu un arresto ma la situazione restò praticamente serena, a Messina invece lo sciopero fu quasi totale. La Puglia si serbò quieta a Foggia, Troia, San Severo, Lucera, a Brindisi e Lecce mentre a Bari una donna fu colpita da una pallottola durante un blocco stradale, a Barletta fu razziata la sede della Democrazia Cristiana, a Gravina tremila dimostranti occuparono il Pastificio Divella e, nel conflitto con i carabinieri, il comunista Michele D’Elia, in possesso di pistola, restò esanime.

A Taranto il clima divenne rovente: un’armeria è assaltata da facinorosi che portano via fucili, cartucce e coltelli; un ventisettenne Angelo Raffaele Latartara, operaio arsenalotto, socialista, morì colpito alla testa da un proiettile; negli scontri i feriti furono nove, sette dimostranti, quasi tutti lavoratori dei Cantieri navali e dell’Arsenale, e tre poliziotti. Uno di questi, Giovanni D’Oria, morì due giorni dopo in ospedale.

Lo sciopero finì così, senza sbocchi rivoluzionari, con l’estinzione degli ultimi focolai di protesta il 16 luglio. Qualcosa sopravvisse per qualche altra ora solo a Napoli dove ci sono i funerali per i due comunisti morti e l’assemblea generale dei ferrovieri, in un primo tempo, parve orientarsi a continuare ad oltranza l’astensione dal lavoro, ed a Taranto dove ai Cantieri navali l’astensione fu quasi totale.

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Fonte bibliografica: W. Tobagi, La rivoluzione impossibile

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