Murat ed il 18 Brumaio

La giovinezza di Murat, l’incontro con Napoleone, la campagna d’Egitto ed ora il 18 Brumaio e tutto ciò che rappresentò per lui. Prosegue così la nostra biografia del Maresciallo di Francia.

Il 18 Brumaio Murat giura fedeltà alla Repubblica, si commuove ed urla quando Napoleone condanna la debolezza del Direttorio con l’apostrofe famosa: “Che avete fatto di questa Francia che io ho lasciata sì brillante? Che avete fatto della pace e della vittoria?… E’ tempo infine di restituire ai difensori della Patria la fiducia alla quale essi hanno diritto!”. Il giorno dopo la cavalleria di Murat parte per Saint-Cloud, qualche ora dopo è accanto a Napoleone, lo trascina fuori dalla sala dei Cinquecento, lo protegge dai colpi dei deputati. Lì Napoleone lamenta d’esser stato vittima di un tentativo di assassinio. Quando giunge l’istante di scacciare dall’aula i parlamentari che hanno osato condannare Bonaparte, è Murat che si lancia verso la tribuna e grida che l’assemblea è sciolta. Egli eccita i Granatieri all’azione: “Spazzate via tutti questi cialtroni!”. Napoleone diventa Console, Murat è nominato comandante in capo della Guardia Consolare, di li a poco sposerà Carolina Bonaparte.

Il 20 aprile, Murat è a Digione quando viene designato luogotenente generale dell’esercito di riserva. E’ posto a capo della Cavalleria, mentre Lannes gli succede al comando della Guardia Consolare. A maggio è a Losanna, a fianco del Primo Console, durante la grande rivista militare. Il 17 di quel mese inizia la marcia per raggiungere i piedi delle Alpi. Due giorni dopo Murat è con Napoleone a Saint-Pierre. Far passare migliaia di cavalli attraverso le rocce e le nevi del Gran San Bernardo è un’operazione davvero difficile, tuttavia necessaria perchè in Italia si avrà a che fare con la numerosa e fortissima cavalleria austriaca. La fanteria si impadronisce d’Aosta, Murat raggiunge Ivrea, sarà ancora a Vercelli dove lancia parecchi drappelli di Cacciatori all’inseguimento del nemico. Occupa Novara il 29 maggio, conquista Turbigo poi Boffalora, il giorno dopo, attraverso Porta Vercellina, entra a Milano alla testa di sei reggimenti. Napoleone lo segue e, proteso a cogliere tutti i frutti della vittoria, lo spinge su Piacenza. Murat si impadronisce della riva sinistra del e sbarca sull’altra riva con qualche piccola imbarcazione. Sbarcato sull’altra riva respinge le vedette nemiche poi lancia un battaglione all’inseguimento di 1500 carriaggi sulla strada di Parma. Tenta pure di forzare le difese austriache con una carica di cavalleria. Il successo è completo.

Presa Piacenza, non c’è un attimo di respiro. Murat lascia la piazzaforte quattro giorni dopo, all’arrivo della Divisione Loison. Il 10 giugno si accampa tra Broni e Santa Giulietta, il 13 raggiunge Napoleone al Quartier Generale di Torre Garrolfo. L’esercito francese passa la Scrivia, respinge i distaccamenti austriaci dietro la Bormida. Poi fu il giorno della battaglia di Marengo.

Vinta dalla cavalleria con una lotta eroica contro forze infinitamente superiori, vide brillare Murat nonostante il suo nome appaia poco nei bollettini. Berthier in un suo Rapporto sommario scrisse: “La cavalleria, agli ordini del generale Murat, ha fatto parecchie cariche decisive. Il generale Murat ebbe gli abiti attraversati dalle palle”. In un secondo rapporto, sempre Berthier scrisse: “Il generale Murat, che ha resto tanti servizi in questa campagna, si compiace elogiare il coraggio e il talento del generale Kellermann”. Lo stesso autore cita due valorosi aiutanti di campo di Murat: Beaumont e Colbert. Gioacchino invece nel suo rapporto loda il valore dei suoi uomini, quelli della Brigata Kellerman composta dal 2º Reggimento Cavalleria (150 uomini 3 squadroni), dal 20º Reggimento Cavalleria (300 uomini 3 squadroni) e dal 21º Reggimento Cavalleria (50 uomini 1 squadrone); quelli della Brigata Champeaux composta dal 1º Reggimento Dragoni (450 uomini 4 squadroni), dal 8º Reggimento Dragoni (350 uomini 4 squadroni) e dal 9º Reggimento Dragoni (200 uomini 3 squadroni); quelli della Brigata Duvigneau composta dal 6º Reggimento Dragoni (350 uomini 4 squadroni), dal 12º Reggimento Cacciatori a cavallo (350 uomini 4 squadroni) e dal 11º Reggimento Ussari (200 uomini 2 squadroni); quelli della Brigata J. Rivaud composta dal 21º Reggimento Cacciatori a cavallo (350 uomini 4 squadroni), dal 12º Reggimento Ussari (400 uomini 4 squadroni), dal 1º Reggimento Ussari Cisalpini (150 uomini 1 squadrone) e dal 3º Reggimento Cavalleria (150 uomini 2 squadroni).

Murat scrisse: “Non vi fu squadrone che non ebbe a sostenere nella giornata parecchie cariche di cavalleria; ma tutte furono rese e date col più grande successo”. Con questa vittoria, terminò la sorprendente campagna di 35 giorni che strappò nuovamente all’Austria il dominio dell’Italia.

Murat può tornare a Parigi, gli è decretata la sciabola d’onore dai Consoli della Repubblica il 4 messidoro Anno VIII.

A novembre è richiamato al comando del corpo d’osservazione concentrato a Digione. Il 21 dicembre con le sue colonne raggiunge Milano poi Ginevra. E’ a conoscenza dell’attentato della macchina infernale contro Napoleone a Parigi in rue Saint-Nicaise. E’ il periodo in cui sorgono conflitti e un senso forte di competizione col generale Brune che comanda l’esercito d’Italia.
Intanto il 21 gennaio diviene padre di un bel maschietto, Achille Carlo Luigi Murat. Il giorno prima ha attaccato i Napoletani che avevano occupato Ancona, poi entra a Firenze dove conosce l’impegno diplomatico del Regno di Napoli

A Firenze, Quartier Generale del Corpo d’osservazione, Murat incontra il generale Levachef, Gran Cacciatore alla Corte Russa, ambasciatore straordinario alla Corte di Palermo. Il Regno di Napoli non è compreso nell’armistizio firmato tra francesi ed austriaci e Murat si mostra socievole ed astuto, abbraccia in pubblico l’ambasciatore e giura alleanza tra Francia e Russia. Prova a vestire i panni del furbo negoziatore, scrive al comandante dell’esercito napoletano per proporgli un armistizio ma non arresta le sue truppe che marciano su Foligno. Ha successo. L’armistizio è firmato. Ora resta lo Stato Pontificio.

Il 22 febbraio Murat giunge a Roma con sei ufficiali ed è alloggiato a Palazzo Sciarra a spese della Camera Apostolica di Papa Pio VII. Ottiene udienza e scrive un resoconto a Napoleone: “La mia visita gli ha fatto molto piacere… Dimostra molta stima per voi, direi quasi ammirazione ed affetto. E’ certo che avrete bisogno di lui per consolidare il vostro governo e la pace. In buona fede egli farò tutto ciò che vorrete. E’ un uomo eccellente e se ci occorre un Papa, vi assicuro che questo non potrebbe meglio convenirci… Mi ha colmato di buone parole, di regali. Mi ha dato anche il suo ritratto, che mi affretto ad inviarvi. Vogliate accettarlo con una scatola antica ch’egli mi ha donato ed un artistico cammeo con cui potrete ornare l’elsa della spada”.
A Roma Murat ci resta quattro giorni poi torna a Foligno, infine è a Firenze. Qui lo raggiungono altri doni del Papa tra i quali un meraviglioso quadro di Raffaello.

Nuovi incarichi gli si apprestano.

Murat è incaricato di insediare Luigi di Parma sul Trono d’Etruria come disposto dal Trattato di Luneville. Nel frattempo gli giunge l’invito da parte dei Borbone di Napoli.

E’ agosto quando arriva nell’antica Partenope. L’esercito francese entra acclamato dalla folla, Ferdinando IV lo accoglie con grandi onori. Nessuno dei due sospetta ovviamente cosa ha per loro in serbo il destino. Il successo di Murat è coronato con la nomina ufficiale a Generale in Capo. Ha sotto i suoi ordini il Luogotenente Generale Soult, tre generali di divisione e quattro generali di brigata; comanda le truppe occupanti il Regno di Napoli, le Legazioni, la Toscana, Parma, Genova e la Repubblica Cisalpina. Deve però obbedire agli ordini superiori.

Il Primo console vuole che si occupi il Golfo di Taranto, Murat esegue.
Quando torna a Milano pensa ad una nuova costituzione. La Lombardia è immiserita da una pessima amministrazione finanziaria, compromessa da successive rivoluzioni, oppressa dalle immense tassazioni che richiede l’occupazione. Insiste presso Napoleone, i tempi corrono veloci. I deputati italiani, riuniti alla Consulta di Lione, attribuiscono al Capo della Repubblica francese la Presidenza della Repubblica Italiana e la vice-presidenza al Conte Francesco Melzi, antico ciambellano di Maria-Teresa: dall’unione della Repubblica Cisalpina con la Repubblica Cispadana è nata la Repubblica Italiana e Murat ne è il generale.

Torna a Parigi, qui Carolina, con una nuova gravidanza, tiene per lui una festa stupenda nel nuovo dominio di Neilly. Gli impegni lo riportano però presto a Roma, poi ancora a Napoli dove re Ferdinando gli dona una spada dall’elsa tempestata di brillanti. Di corsa torna di nuovo a Parigi dove Carolina ha dato alla luce Maria Letizia Giuseppina Annunziata Murat.

Murat è raggiante, ma incombono nubi cupe.

Un anno dopo è in Italia e vive le polemiche di partiti avversi, aristocratici, giacobini, unitaristi. Murat soprattutto sente astio verso il Vicepresidente Melzi. Napoleone l’11 marzo del 1803 gli scrive: “Desidero che qualsiasi cosa avvenga restiate unito col Governo e non prestiate orecchie alle insinuazioni dei nemici della Francia”. Tuttavia proprio da Parigi arrivano gli ordini d’arresto di Cicognare, Teullier, Ceroni e Magenta, critici del governo napoleonico. Carolina, approfittando della nascita del suo terzo figlio, propone proprio a Melzi d’esserne il padrino. E’ Luciano Napoleone Carlo Francesco Murat, nato a Milano il 16 maggio del 1803.

Murat è eletto membro del Corpo Legislativo, poi Governatore di Parigi, comandante le truppe della Prima Divisione Militare e della Guardia Nazionale e l’Imperatore gli conferirà le cariche di Grande Aquila, Grande Ammiraglio, Grande Dignitario.
Arriva però anche il tempo del rapimento di Luigi Antonio di Borbone, Duca d’Enghien e della sua morte.

Avendo avuto sentore di un complotto realista per ucciderlo e convinto che il giovane Enghien ne fosse l’animatore, Napoleone Bonaparte ne dispose la cattura. Posto innanzi ad un consiglio di guerra composto da sette colonnelli e dal generale Hulin che lo presiedeva, l’Enghien, pur dichiarando di odiare il Primo Console, respinse le accuse. Nel frattempo la cattura di Cadoudal e di Pichegru, ad opera della polizia di Fouché, consentì di appurare la veridicità delle parole dell’Enghien ma l’accusa fu tramutata in alto tradimento per aver combattuto contro l’esercito francese.

L’Enghien fu condannato a morte e fucilato il 21 marzo. Probabilmente Murat ebbe un ruolo chiave nell’arresto e nella condanna; tutti sanno però che poco prima di essere fucilato a Pizzo, Murat, ripensando a questa vicenda, disse: “La tragedia del Duca d’Enghien, che Re Ferdinando vuol vendicare di me, mi fu totalmente estranea; ne chiamo a testimonio Dio dinnanzi al quale sto per comparire”.

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Fonti librarie:

M. Mazzucchelli, Gioacchino Murat, 1932
G. Doria, Murat Re di Napoli, 1966
R. De Lorenzo, Murat, 2011
A. Dumas, Murat, 2005

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