Ferrante d’Aragona e la battaglia di Ischia

Il 7 luglio del 1465 ad Ischia, contro l’esercito di Ferrante d’Aragona, le pretese di Giovanni d’Angiò si spensero definitivamente.

Il sogno di recuperare al suo casato il Regno di Napoli si inabissò nelle acque di Ischia in una battaglia navale destinata e restar viva nella storia di Napoli. Quel giorno la sua flotta subì una schiacciante sconfitta inflittagli da uno squadrone di navi napoletane e da una flottiglia inviata da Giovanni II d’Aragona, zio di Ferrante.

L’isola era controllata da Giovanni Torella, cognato di Lucrezia d’Alagno, feudataria dell’isola e favorita di Alfonso d’Aragona. Torella, però, per accattivarsi il sostegno di Ferrante, fece diffondere ad arte la notizia che Lucrezia si fosse alleata segretamente con Giovanni d’Angiò. La donna, soprafatta dalle maldicenze, dovette fuggire mentre Torella, ottenuto il feudo dell’isola, ma ancora avido di potere, procedette a conquistare con le armi la vicina Procida difesa da Pietro Cossa, fedele a Ferrante.

L’Aragonese ammonì Torella d’abbandonare ogni velleità su Procida e fu così che l’Ischitano strinse alleanza con i nemici di Ferrante.

L’isola, divenuta ora ultimo baluardo angioino dopo la disfatta di Troia, fu presa dagli uomini guidati da Alessandro Sforza. Essi con grandi difficoltà sbarcarono conquistandone il Castello. Torella trovò riparo nei boschi, mentre suo fratello Carlo, Cavaliere di Rodi, giungeva dalla Provenza con otto navi in suo aiuto destinandosi ad azioni di pirateria.

Scrive il Summonte nella sua “Historia della città e regno di Napoli”: “Il Rè diede carico di questa impresa ad Alessandro Sforza e altri Capitani, i quali ottennero quest’isola con molta difficoltà: ma venuti al Castello, il qual sorge in un sasso scosceso e precipitoso, e cinto d’ogni intorno dal Mare, l’assediorno per mare e per terra, e nell’una, e nell’altra parte vi furono di molte scaramuccie, per ciò che Carlo fratello di Giovanni soccorrea quei cittadini con navi, e galere piene di vittuaglie, e per questo l’assedio durò due anni, nel qual mezo il Torella spogliò il Castello dell’Ovo di tutto quello, ch’il Rè vi tenea, e con quello del corpo del Rè Alfonso, che qui si conservava in una cassa, havedo egli ordinato nel suo testamento s’havesse in Catalogna a condurre, e seppellirsi nella CHiesa di Poplero coforme al constume de gli altri Rè d’Aragona, pch’egli morì in detto castello (com’è detto) per ciò che ivi religiosamente si custodiua, il Rè Ferrante poi ve lo fè restituire e ivi era visitato da gran personaggi e amirato per la memoria de’ suoi gran gesti…”.

Anche Giovanni d’Angiò riuscì a sbarcare, ma ormai il castello era nelle mani di Sforza. L’angioino, da terra, vide la sua flotta sbaragliata da quella aragonese guidata da Giovanni Poo. L’ammiraglio aragonese fece pure sbarcare i suoi uomini a notte fonda sulla spiaggia di Forio accerchiando gli angioini che eran pronti a sferrare l’attacco al Castello.

Le perdite tra gli angioini furono numerose, Giovanni Torella cadde in località Campagnano, suo figlio e suo fratello furon fatti prigionieri e Giovanni d’Angiò fu costretto alla fuga.

Questa vicenda segnò molto il sovrano aragonese che ordinò a tutta la popolazione di andare a vivere nel Castello per poterla meglio tenere sotto controllo. La fortezza perse col tempo i suoi caratteri di cittadella inespugnabile, acquisiti proprio negli anni di Alfonso d’Aragona, per diventare una città vera e propria.

La battaglia sancì la definitiva vittoria di Ferrante e l’importanza dell’evento ci è consegnatao dalla Tavola Strozzi, conservata al Museo di San Martino.

Proveniente dal palazzo fiorentino di Filippo Strozzi, la tavola fungeva da spalliera di un letto disegnato da Benedetto da Maiano. Essa rappresenta la città proprio nei giorni successivi allo scontro raffigurando il ritorno della flotta napoletana nel porto con le navi nemiche conquistate. Una splendida sfilata di navigli mercantili e galee segue una linea circolare in primo piano. Tali imbarcazioni, in un primo tempo, portavano tutte, sia a prora che a poppa, le insigne di Ferrante ed, a prua, quelle dell’ammiraglio Roberto Sanseverino. Successivamente alcune bandiere vennero sostituite con le insegne di altri capitani, tra le quali figura anche una dei Medici, alleati dell’Aragonese, ed altre che forse mostrano un accavallamento di eventi successivi.

 

Autore articolo: Angelo D’Ambra

Foto gentilmente concesse dalla Compagnia d’arme “La Rosa e La Spada”

Fonti:
F. Zamblera, Il trionfo navale nell’iconografia delle battaglie di Ischia (1465) e Lepanto (1571), in “Il Maurolico”, Anno I/2009
A. Archi, Gli Aragona di Napoli, Bologna 1968
E. Nunziante, I primi anni di Ferdinando d’Aragona e l’invasione di G. d’Angiò, Napoli 1898
C. Porzio, La congiura dei baroni, Milano 1965
E. Pontieri, Ferrante d’Aragona, re di Napoli, Napoli 1969

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